Non è una novità che insieme si arriva più lontano: da decenni le organizzazioni si uniscono per collaborare, condividere risorse e conoscenze, e sostenersi reciprocamente nell’ambito di un settore o di un interesse comune. Gruppi di networking, cluster e associazioni commerciali, cooperative di tutte le dimensioni e, più recentemente, hubs di innovazione, sono stati e continuano ad essere spazi fisici o virtuali dove le imprese utilizzano la condivisione come base per crescere e ottenere benefici. E’ il caso, ad esempio, di Faberlab powered by Arburg.
Tuttavia, oggi si parla di una tendenza che va oltre: la community economy, una nuova forma di economia composta da organizzazioni che pongono le comunità al centro della loro strategia di business.
CREARE LEGAMI SIGNIFICATIVI
Una delle parole del secolo XXI, il termino “community” ha acquisito nuove connotazioni nel contesto dell’economia digitale, nel mondo del lavoro e nelle realtà aziendali. Se una volta l’espressione si riduceva a una realtà di vicinanza materiale e/o territoriale (secondo Treccani, «insieme di persone che hanno comunione di vita sociale, condividono gli stessi comportamenti e interessi»), le nuove tecnologie hanno aperto un universo di possibilità per il bisogno umano di creare legami significativi, condividere valori e percepire il sentimento di prossimità, anche a distanze fisiche inimmaginabili.
«Le prossimità possono essere di diverse nature: condividere una passione, un interesse, una condizione particolare, come trovarsi con una patologia o essere un genitore singolo, per esempio», spiega Marta Mainieri, autrice e consulente esperta in materia di sharing economy, innovazione nei modelli di business a piattaforma e nella progettazione e gestione di community. Secondo Mainieri, sempre più organizzazioni, sia grandi che piccole, stanno adottando il concetto per ridefinire le relazioni con i clienti, i collaboratori e altri stakeholder.
Oltre che semplici strumenti de marketing, le comunità stanno dimostrando di essere dispositivi cruciali per la strategia dei business. Un esempio citato da Mainieri è Patagonia, azienda statunitense di abbigliamento sportivo, divenuta un punto di riferimento nell’attivismo sociale e ambientale. Grazie al suo piano di progettazione di comunità, Patagonia è riuscita a creare una fedele schiera di fan che, oltre a essere potenziali acquirenti, si identificano con lo stile di vita promosso dal marchio.
RIDEFINIRE IL RAPPORTO CON I CLIENTI
Alcune organizzazioni utilizzano le community per introdurre all’interno dell’azienda stessa delle nuove prossimità, come le Emotional Commmunities di Nestlé, cioè gruppi di collaboratori che lavorano per diffondere internamente una cultura che consente di esprimere le proprie passioni e identità in ambiti come l’equità di genere, la disabilità, multiculturalità e altri.
Inoltre, esistono comunità che contribuiscono a ridefinire il rapporto con i clienti. Un esempio è rappresentato dai Runners di Adidas, una comunità globale di corridori che organizza incontri, maratone, eventi e condivide informazioni per promuovere il valore della corsa come strumento di benessere. In questo caso, la strategia della comunità prende forma a partire dal settore di marketing, coinvolgendo atleti, influencers, capitani, allenatori e gruppi locali che, condividendo i valori e l’orientamento del brand, alimentano e mantengono vive queste comunità.
I benefici di questo tipo di relazione sono molteplici: ponendo le persone al centro, si avvia la creazione di valore attraverso il rapporto, propiziando la possibilità di raggiungere qualcosa che uno non sarebbe in grado di raggiungere da solo. L’utente non è più il beneficiario passivo di un prodotto o di un servizio, bensì diventa un membro attivo con il quale instaurare una collaborazione tra pari. «Si inizia a trattare il cliente o il collaboratore come portatore di valore, piuttosto che come qualcuno da servire o comandare», osserva Mainieri.
TRATTENERE E ATTIRARE TALENTI
Se si riesce a creare un’opportunità di scambio sincero, è possibile cogliere spunti importanti per l’innovazione e per affrontare sfide organizzative di varie nature. Internamente, le comunità possono aiutare a trattenere i talenti e ad attirarne di nuovi, se riescono a creare uno scopo condiviso intorno al quale aggregarsi. «La socialità, il benessere, il supporto fra pari: le persone, quando sono insieme, sono più motivate e si divertono», afferma.
Ma non solo le grandi realtà possono coglierne le potenzialità. Anche, e forse soprattutto, per le piccole e medie imprese, le comunità possono rappresentare un efficace strumento di crescita. Inoltre, partono con un vantaggio intrinseco: sono già, per loro natura, più orizzontali e informali, costituendo un ambiente potenzialmente propizio per la creazione di uno spazio di condivisione, dove le persone si sentono a loro agio nell’esprimersi liberamente, una caratteristica fondamentale per il funzionamento di una comunità.
Altre caratteristiche includono la condivisione di una proposta di valore, la natura ibrida (le comunità possono operare sia in contesti fisici che digitali), la partecipazione attiva, la conversazione a livello paritario, la semplicità, l’intrattenimento e la trasparenza. Quest’ultima è fondamentale, come sottolinea Mainieri, se l’impresa desidera stabilire autentiche relazioni con le persone, evitando che la comunità diventi uno strumento “spudorato” di marketing o di controllo. «Una comunità funziona quando le persone si aiutano reciprocamente e collaborano per un bene comune». Glória Paiva