Dopo la crisi, la ripresa: questo è il trend al quale tendono, una volta sferrato il colpo decisivo al virus, non solo le potenze mondiali ma anche i Paesi in via di sviluppo. Ma ingranare nuovamente la marcia della crescita può avvantaggiare alcuni e creare difficoltà ad altri: lo sviluppo non è a costo zero. Lo raccontano in questi ultimi tempi Cina e Stati Uniti: nell’anno che ci siamo lasciati alle spalle, l’Impero Celeste ha superato l’America diventando il principale partner commerciale dell’Unione europea. E il Pil di Pechino dovrebbe superare quello degli Usa non nel 2033, come precedentemente previsto ma, secondo il Center for Economics and Business Research, nel 2028. Cina, prima potenza mondiale.
ECCO PECHE’ AUMENTANO I COSTI DELLE MATERIE PRIME
La corsa ad una nuova normalità, nella quale è previsto anche il ritorno ad un’economia a pieno regime, ha fatto aumentare i costi delle materie prime: cobalto, nickel, manganese, petrolio, rame, polietilene, ferro, gomma, legno. Le ragioni? Le potenze mondiali che hanno ripreso la corsa fanno incetta di materie prime che, in un regime di pandemia, viaggiano a fatica (quindi aumenta anche il costo del trasporto a mezzo container) facendo cadere gli imprenditori in quella trappola del “collo di bottiglia” dove tutti rincorrono il poco materiale disponibile. La conseguenza si tocca con mano: prezzi alle stelle e forniture con lunghi ritardi. Così, nel gennaio 2021 il costo delle materie plastiche aumenta del 30% e il petrolio, da inizio febbraio, guadagna il 20%: aumenta il costo del carburante, aumenta il costo del trasporto, aumentano elettricità e gas.
Ma non è tutto: l’acciaio fa +130%, i polietileni +40%, il rame +17%. L’inflazione bussa alla porta e i prezzi di acquisto praticati dalle aziende fornitrici di materie prime registrano incrementi su incrementi.
AUMENTI PIU’ MARCATI NELLA METALLURGIA
Una recente analisi dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese si è concentrata sull’aumento dei prezzi dei metalli. Secondo dati Eurostat, a gennaio 2021 i prezzi alla produzione manifatturiera, al netto dell’energia, crescono dello 0,4% su base annua; tra le attività manifatturiere, gli aumenti tendenziali più elevati interessano il settore della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (+2,4%). Per il comparto più a monte della filiera, la metallurgia, i prezzi salgono del 5,2%, di quasi un punto superiore al +4,3% dell’Eurozona.
A febbraio 2021, secondo il Fondo Monetario Internazionale, i prezzi dei metalli salgono invece del 53,6% rispetto un anno prima, consolidando l’aumento del 42,3% di gennaio: era da dieci anni che non si registravano tassi di crescita così elevati. Segnali di crescita anche la gomma, che segna un rincaro del 46,9%. L’indice dei materiali di input per l’industria manifatturiera sale del 43,9%, mentre l’indice delle materie prime non energetiche sale del 24,6%, diffondendo in numerosi settori manifatturieri pesanti segnali inflazionistici. L’incremento dei costi generano tensioni sul conto economico delle imprese e mettono a repentaglio la ripresa: nel 2020 il fatturato nel settore dei prodotti in metallo è sceso del 10,5%, con una riduzione di 9,2 miliardi di euro, mentre l’export si è ridotto di 2.129 milioni (-10,3%).
I PAESI EMERGENTI OSTACOLANO LE PICCOLE IMPRESE ITALIANE
Il minore volume di attività conseguente alla crisi Covid-19, il perdurare delle tensioni sui prezzi delle commodities di ampiezza simile al precedente rialzo (2016-2017), l’ipotesi di una variazione dei prezzi di acquisto del 14,6% in media annuale, sta determinando un maggiore costo di materie prime per 3,2 miliardi di euro per le 69mila micro e piccole imprese del settore dei prodotti in metallo.
Una fra le principali cause dei rincari sta nella strategia di politica industriale dei nuovi Paesi emergenti nel panorama globale. Strategia che sta mettendo in difficoltà non solo le grandi industrie del settore siderurgico e meccanico, ma anche e soprattutto gli imprenditori artigiani, i quali faticano a mantenere invariati i prezzi dal preventivo alla consegna a causa dei continui rincari dei prezzi delle materie prime che hanno raggiunto ormai un livello inaccettabile.
OCCUPAZIONE E TERRITORI: IL VALORE DELLE MPI
Il peso dell’occupazione delle micro e piccole imprese dei prodotti in metallo sul totale dell’economia è più elevato nel Veneto e nelle Marche, pari al 3,3% del totale degli addetti del totale delle imprese. Seguono, con valori superiori alla media nazionale del 2,2%, Emilia-Romagna con 3,1%, Friuli-Venezia Giulia con 2,9%, Piemonte con 2,8%, Lombardia con 2,7% e Umbria con 2,5%. Le province con le Mpi dove maggiore è la specializzazione nella produzione dei metalli sono Lecco con 8,2%, Brescia con 6,5%, Vicenza con 5,1%, Pordenone e Verbano-Cusio-Ossola con 4,6%, Cremona e Gorizia con 4,4%, Bergamo con 4,2%, Treviso con 4,1% e Piacenza con 4,0%. Nel settore dei prodotti in metallo, primo settore della manifattura per occupati nelle micro e piccole imprese (MPI) e il principale settore dell’artigianato manifatturiero, operano 65 mila imprese con meno di cinquanta addetti, in cui lavorano circa 389 mila addetti, mentre nelle oltre 45 mila imprese artigiane si contano 193 mila addetti, il 35,2% del settore.
ANCHE LA CINA PAGA IL PREZZO…PIU’ ALTO
I costi delle materie prime si scaricano sui beni finali. Sono soprattutto i rincari di petrolio e materiali ferrosi a colpire i consumatori: si rischia l’aumento del costo della vita. La Cina, seconda economia mondiale, prende atto che a marzo il settore dei metalli è cresciuto del 21,5% anno su anno, quello dei prodotti chimici dell’11,4%, il settore dei prodotti dell’estrazione del gas fa +23,7% e quello delle industrie del petrolio sale del 13,9%.