«Non è ignorando l’Europa che la miglioreremo: anzi, continueremo a non realizzare quello che per la mia generazione è stata una promessa mancata ma che spero possa trasformarsi in realtà per i nostri figli». Parola di Luigi Grechi, presidente di Confartigianato Imprese Lomellina, in occasione dell’incontro “L’Europa che verrà: quale futuro dopo il voto di maggio?”, tenutosi ieri sera (giovedì 23 maggio) a Palazzo Roncalli. Folto il pubblico presente, a conferma di un tema, quello delle sorti dell’Unione, che può e deve essere approfondito. E a farlo, sul territorio, ci ha pensato in queste settimane – di fatto – solamente Confartigianato: «Siamo un’Associazione che rappresenta le imprese – ha evidenziato Grechi – ed è a loro che ho pensato in primo luogo nel proporre questo seminario. Ricordo ancora che, subito dopo l’esame di maturità, siamo partiti alla scoperta dell’Europa: abbiamo trovato una barriera tra Italia e Svizzera e una tra Svizzera e Germania. Ma non tra Belgio e Olanda, per esempio. Erano le prime volte volte in cui si poteva viaggiare liberi, ed era la prima volta in cui tra gli stati non c’erano barriere ma solo cartelli stradali: fu una grande emozione che ancora oggi non ho dimenticato. Da imprenditore, poi, ricordo ancora i tempi in cui le merci di fermavano al Brennero e, per riuscire a farle entrare in Italia, era necessario il versamento dell’Iva alla frontiera. Oggi è tutto più semplice: questa è l’Europa».
UNA INTEGRAZIONE SENZA PRECEDENTI
La palla è quindi passata agli esperti: il professor Emilio Colombo (ordinario di politica economica alla facoltà di scienze politiche e sociali dell’università Cattolica del Sacro Cuore) e il professor Carlo Altomonte (professore associato del Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’università Bocconi). Ad aprire le danze, Emilio Colombo: «L’Europa pare aver tradito le aspettative – ha introdotto – ma è vero anche che l’Europa siamo noi, e dobbiamo farci fautori di un approccio fattivo. Come Paese ci dobbiamo muovere affinché l’Europa, che è e rimane un organo politico, vada nella direzione che pensiamo debba andare. L’Ue, con la sua nascita, ha realizzato un’integrazione che non ha precedenti nella storia. E che non è stata solo economica, ma anche sociale e politica».
Limitandosi alla semplice integrazione economica, è possibile analizzarne diversi stadi: ad esempio l’area di libero scambio, un’area economica all’interno della quale i beni interni possono essere scambiati senza tasse o dazi (esempio: NAFTA); si pensi quindi all’Unione doganale, un’area di libero scambio in cui viene fissata una tariffa esterna comune, come il Mercosur. E ancora, il Mercato Unico, area economica in cui vengono eliminate o fortemente ridotte tutte le barriere tariffarie e non tariffarie allo scambio, ed esiste uniformità negli standard sanitari, tecnici e non solo. «Il Mercato Unico Europeo poggia su quattro libertà essenziali, riguardanti la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone. Ciò vale in tutta l’Ue, con l’aggiunta di Norvegia, Islanda e Svizzera, con restrizioni. Questo mercato non presuppone l’adozione di una valuta unica, anche se questa è uno stadio di ulteriore integrazione».
E per implementare realmente il Mercato Unico occorre rimuovere tutte le barriere non tariffarie, ma anche come accennato uniformare standard e accesso ai servizi, standardizzare l’accesso alle professioni, analizzando anche un tema delicato come quello dell’integrazione fiscale. «Il Mercato Unico Europeo presuppone il rispetto delle regole concorrenziali interne. Innegabile il grande ruolo della commissione nell’applicazione delle norme antitrust. L’Ue ha assunto delle posizioni uniche verso i Giant Tech, si pensi alle multe a Microsoft e Google. C’è poi un elemento critico: tanto più spingo sulla concorrenza interna tanto più favorisco i consumatori. Ma in questo modo impedisco lo sviluppo di campioni nazionali che possano competere sui mercati globali, si vedano le fusioni Alstom-Siemens e Fincantieri-STX».
LA SOSTENIBILITA’ ALLA BASE DEGLI ACCORDI COMMERCIALI
Senza dubbio, il contributo che l’Ue ha dato alla liberalizzazione degli scambi internazionale e alla difesa del modello multilaterale può essere un punto di partenza per un contributo fattivo alla riforma del WTO e delle regole del commercio. «E ancora, sempre più gli accordi commerciali avranno come elemento decisivo la sostenibilità, abbracciando dimensioni ambientali, etiche, di tutela degli standard lavorativi e sociali. La lunga tradizione e la sensibilità sviluppate dai Paesi europei in questi ambiti pone l’Ue come un vero e proprio fattore di guida dei processi di riforma».
Ma quanto vale l’integrazione dell’Ue? Come possiamo misurarne i benefici? «Molti studi sottolineano che l’appartenenza all’Unione ha apportato benefici rilevanti ai paesi membri. Senza dubbio un fattore comune a tutte le analisi riguarda la difficoltà a stimare l’effetto di un evento che non ha precedenti, in altri termini manca un controfattore». Da segnalare comunque un recente studio di Campos, Coricelli e Moretti, che analizza i paesi entrati nell’Ue a partire dal primo grande allargamento del 1973 fino a quello del 2004, con un metodo del controllo sintetico che consente di fare un’analisi controfattuale. In media, l’appartenenza all’Ue è in grado di generare un aumento del Pil pro capite del 10% nei primi dieci anni. Da notare che il Regno Unito ha avuto un incremento del Pil pari al 23,7%. «L’unico paese con un saldo negative è la Grecia, ma è davvero un caso a parte».
RIDUZIONE DEL COSTO DEGLI INTERESSI
Veniamo all’Euro, che non rappresenta una caratteristica esclusiva dell’Unione, ma ne costituisce un fattore fondamentale benché fortemente criticato. La moneta agisce a diversi livelli: favorisce l’integrazione nel mercato dei beni e in quello finanziario; favorisce il commercio sia lungo il margine intensivo che lungo quello estensivo; favorisce la riduzione del costo degli interessi per i paesi indebitati, il che ha portato un’agevolazione per l’Italia.
«Concludo con una questione. Il passaggio successivo alla critica dell’Euro è: servirebbe una piena autonomia monetaria, serve una banca centrale che monetizzi il nostro deficit. Ma stiamo attenti a pensare di uscire dalla moneta unica, oggi non puoi uscire dall’Euro senza uscire dall’Unione Europea. Il che per noi significherebbe default, non conosco paesi che non abbiano fatto qualcosa di simile senza dichiarare default».
12,6 MILIONI DI POSTI DI LAVORO
La parola quindi al professor Altomonte: «Mi voglio concentrare su questi ultimi cinque-sei anni, e i dati che presenterò – ha annunciato – potrebbero anche lasciare spiazzati, rispetto alla narrazione alla quale siamo abituati. Ad esempio, nell’ultimo lustro il tasso di crescita europeo ha viaggiato tra l’1,5 e il 2%. Abbiamo anche recuperato il gap relativo agli investimenti, superando i livelli pre crisi e creando a livello di Unione Europea qualcosa come 12,6 milioni di posti di lavoro. Oggi il tasso di occupazione ha toccato il suo record storico, arrivando al 73,2%. Pare fantascienza, ma non sono altro che numeri». Interessante anche notare il clima di fiducia degli europei verso l’Ue, che resta alto: «C’è stato un piccolo calo negli ultimi mesi, ma il saldo rimane positivo». Veniamo al rapporto debito-Pil: quello europeo è all’81,5%, gli Stati Uniti ad esempio si trovano al 105,4%, un numero che continua tra l’altro a crescere.
UNA ASIMMETRIA TRA ITALIA E UNIONE EUROPEA
«Ma l’Italia è l’unico paese dell’Ue che non è riuscito a crescere come Pil pro capite dal 2000. In generale, esiste in effetti un’asimmetria chiara tra Italia e Unione». E ancora, come voteranno, stando alle previsioni, gli europei? «Il 66% voterà partiti pro-Europa, il voto euroscettico dovrebbe assestarsi al 20%. Qualcosa di interessante ci sarà, ad esempio per la prima volta Popolari e Socialisti non avranno la maggioranza dei seggi, e dovranno perciò trovare alleanze con altri partiti per governare: questa è già una novità importante. Ci saranno poi nuovi partiti, però sempre europeisti. Inoltre i partiti sovranisti presenti in Europa sono molto diversi tra loro, trovare un accordo sarà tutt’altro che semplice, se non impossibile». Esistono anche scenari alternativi, staremo a vedere.
«Il nostro governo, che probabilmente da lunedì smetterà di litigare – la provocazione di Altomonte – ha davanti a sé sfide molto importanti, pensiamo per esempio che l’aumento dell’Iva è presente nella legge di bilancio, e per evitarlo servirà un’altra legge». Tornando all’Europa: «Oggi, se pensiamo a essa, possiamo considerarla una signora matura che poggia su un paio di scarpe bellissime, di design italiano, che risultano però instabili a causa di alcuni problemi».
Metafora senza dubbio azzeccata nella città, Vigevano, che ha legato e lega il suo nome alla calzatura. Ed è proprio rispondendo agli stimoli del vicesindaco di Vigevano Andrea Ceffa prima, e del sindaco di Mortara Marco Facchinotti poi, che il professore Altomonte ha aggiunto: «O l’Europa riuscirà nei prossimi cinque anni a rispondere a determinate domande, oppure si squaglierà. Ho affermato senza problemi in una recente intervista di essere un europeista critico, in quanto non ritengo sostenibile questo status quo. Credo che queste elezioni porteranno a Bruxelles un certo “pepe” sovranista, tale da stimolare i partiti europeisti a cambiare, ma come accade in cucina, non bisogna esagerare per non rovinare il piatto…». È seguita una fase di dibattito con alcuni interventi da parte del pubblico, per quella che è stata una serata certo di informazione, ma anche di confronto schietto da esperti e imprenditori. Perché un’Unione senza le piccole e medie imprese, che rappresentano qualcosa come il 99% del totale, non può esistere.
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