Lo sapremo fra pochi giorni, ma Confartigianato Imprese Lomellina il tema lo vuole affrontare da subito rispondendo a questa domanda: «L’Europa che verrà: quale futuro dopo il voto di maggio?». In sostanza, prevarranno le correnti sovraniste oppure l’europeismo uscirà indenne dalle tensioni di questi ultimi tempi? Dopo il 26 maggio, data ultima per le votazioni del Parlamento Europeo, imprese e cittadini scopriranno come sarà mutata la mappa geopolitica europea. Nel frattempo, giovedì 23 maggio (ore 20.30 nella sala dell’800 della Fondazione Roncalli, in via Del Popolo 17 a Vigevano), la questione verrà affrontata da Carlo Altomonte (professore associato del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Bocconi) ed Emilio Colombo (professore ordinario di Politica Economica alla facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore). Sul tavolo i possibili cambiamenti che interesseranno l’Unione Europea e, di conseguenza, i rapporti tra le imprese e i Paesi verso i quali va buona parte del nostro export. E di imprese, ma non solo, parliamo con il professore Altomonte.
Professore, come si dovrebbe comportare l’Italia nei rapporti con gli altri Paesi europei a vantaggio delle proprie imprese?
I tedeschi, sotto questo punto di vista, devono essere i nostri primi alleati: anche loro, come noi, hanno un’economia basata su aziende a struttura famigliare. Quindi, da parte nostra dovremmo seguire – banalmente – la loro politica commerciale e industriale. Sulla parte di governance, invece, dobbiamo allearci con i francesi, che sono anche molto presenti nel sistema bancario italiano. Quindi, quando serve parliamo o con la Germania o con la Francia. Contrariamente a quanto si possa pensare, a Bruxelles si sente la mancanza italiana nella mediazione tra questi due Paesi. Il nostro intervento serve, e serve tanto: Germania e Francia chiedono proposte italiane.
In Europa ci sono probabilmente obiettivi poco chiari e troppi interessi contrastanti: serve ancora l’Europa?
Un’Europa così non serve, ma questo non vuol dire che non serva l’Europa. Anzi, resta l’unica soluzione possibile in un mondo basato sui rapporti di potenza tra i vari Paesi. Senza l’Europa, e senza la condivisione di obiettivi comuni, i singoli Paesi rischiano di essere sempre più preda degli interessi di altre nazioni e di non poter più garantire i servizi pubblici essenziali: crescita, occupazione, sicurezza e difesa dei confini.
L’Europa come può garantirli?
Le cose da fare sono chiare a tutti: bisogna trovare la volontà comune di fare, sapendo che l’alternativa è la disaffezione dei cittadini al progetto europeo e la scelta, da parte loro, di alternative che non sono nel loro interesse. Dal punto di vista politico bisogna valutare ciò che la gente vuole e ciò che invece serve alla gente: le due cose sono ben diverse. Perché le persone vogliono più crescita e sicurezza, ma chiedono anche cose che non sono affatto una garanzia. Pensiamo alla Brexit: da parte dell’Europa, il Regno Unito si attendeva certi benefici e la libertà di fare certe scelte politiche. In realtà, però, per sistemare le cose sarebbe bastata la rimodulazione degli accordi tra le due parti. Non serviva un referendum al buio. Ormai il dibattito non è tra due visioni diverse dell’Europa, ma tra chi è pro o contro l’Europa. Essere contro non ha senso.
Però l’Italia, in Europa, spesso è considerata come una Cenerentola: perché?
Su tanti tavoli europei a volte sono stato spettatore diretto, e le posso dire che non si tratta di meeting tra gentiluomini e gentildonne. Settant’anni fa gli uomini risolvevano le controversie a fucilate; oggi usiamo mezzi più civili ma le mazzate ce le diamo ugualmente. Il gioco sporco della politica lo si deve fare: accordi e compromessi sono all’ordine del giorno.
Non ci sappiamo fare?
Le faccio una domanda: perché la Commissione europea è più tedesca che italiana? Perché noi andiamo a Bruxelles e improvvisiamo: non abbiamo alcuna programmazione. E’ come se l’Europa abbia messo nelle mani dell’Italia una lavatrice bellissima, ma noi non abbiamo letto le istruzioni per farla funzionare al massimo delle sue potenzialità. Abbiamo schiacciato un bottone, e poi basta.
Come si leggono le istruzioni della “lavatrice europea”?
Si leggono tenendo d’occhio le cose da fare, e facendo partecipare i ministri – non gli ambasciatori – al Consiglio europeo. Per esempio, l’Italia non ha un ministro degli affari europei a Bruxelles e non abbiamo un coordinamento tra i ministeri per dirigere le decisioni europee. Noi abbiamo sì una rappresentanza di 30 funzionari, ma la Germania ne ha cento perché investe sull’Europa da almeno dieci anni. Bruxelles è tedesca perché la Germania ha la capacità di leggere tutto, e oggi sa già cosa accadrà fra due anni e mezzo. I funzionari italiani in Europa sono superbravi, ma non hanno il senso del Paese perché manca la capacità di una pianificazione strategica. Insomma, siamo entrati in un gioco che è al di là della nostra capacità di fare sistema.
Cosa accadrà dopo il 26 maggio?
Il Parlamento europeo sarà comandato dall’asse composto da liberali, socialisti e popolari. E penso che il gruppo euroscettico non avrà accesso alle chiavi del potere. Al di là di questo l’Italia deve capire che il suo futuro passa da Bruxelles e dalla capacità che la nazione ha di condizionare le decisioni a livello europeo. Per usare l’Europa a proprio vantaggio. Roma non conta più niente, perché quello che conta si decide a Bruxelles, e quindi si deve fare sistema per lavorare lì. Se non lo facciamo, non basterà battere i pugni sul tavolo. Meglio avere meno rappresentanti a Roma, in Camera e Senato, e più rappresentanti in Europa. Serve un atteggiamento costruttivo. Però non abbiamo voglia di applicarci e, probabilmente, l’Italia non è adeguata per giocare secondo le regole europee. Per l’80%, dei nostri fallimenti dobbiamo incolpare solo noi. Quindi, meglio adeguarsi. In fretta.
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