Ne abbiamo parlato con Andrea Pontiggia, professore ordinario di Organization Theory and Design (Organizzazione Aziendale) presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia, oltre che professore e membro della faculty della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi di Milano e docente senior dell’Area Organizzazione e Personale.
COS’E’ LA DELEGA E COME DELEGARE IN MODO EFFICACE IN AZIENDA
«Il tema della delega di per sé è un tema che affonda le sue radici nella tradizione degli studi organizzativi e la cosa interessante da ricordare, almeno per me, osservatore di temi organizzativi, economici e strategici, è proprio che è un tema che si ripresenta, quindi vuol dire che non è stato mai risolto», spiega il professor Pontiggia, «si ripresenta ogni volta, perché ogni generazione ha questo problema e noi vediamo solo il 50% del problema: l’imprenditore che non delega, i manager che non delegano ai collaboratori. In realtà questi temi si ripresentano con una certa frequenza perché, forse, dobbiamo con maggiore attenzione porci il problema non del delegante, cioè chi dà la delega, ma del delegato».
In pratica, la domanda da porsi è: i collaboratori vogliono essere delegati? Accettano di buon grando la corresponsabilità? «Dobbiamo guardare le condizioni che rendono accettabile la delega da parte delle persone», prosegue Pontiggia, «dobbiamo osservare l’altra faccia della medaglia: a quanti non vogliono ricevere la delega o forse, di più, non sono abituati a essere delegati». Pontiggia fa quindi un esempio per chiarire meglio il concetto. «Aziende molto attente nella gestione del personale, danno immediatamente autonomia alle persone o, se si preferisce, per ritornare al tema, delegano dei compiti, anche se semplici, all’inizio», evidenzia l’esperto, «le persone vengono assunte e, immediatamente, accanto ad attività che sono tipicamente di apprendimento, quindi di forte contenuto esecutivo, viene riconosciuta loro una certa autonomia: li stiamo abituando ad essere delegati, a fare qualcosa, ad assumersi le responsabilità, a decidere di qualcosa. Non aspettiamo che la persona abbia superato un certo livello di carriera perché diventi delegato, no, bisogna, se guardiamo quel 50% nascosto, farlo fin dall’inizio, dal momento, si dice tecnicamente, di induction, cioè di ingresso della persona. È lì che, in qualche modo, si stabiliscono davvero le regole del gioco. È lì che si stabiliscono quali sono i principi di ingaggio ed è lì, in quei momenti, che si definisce anche il desiderio o meno di ricevere una delega».
In pratica, bisogna abituare, educare, le persone a essere delegate perché altrimenti si troverebbero in grandi difficoltà ad assumersi responsabilità e autorità che, precisa Pontiggia, «sono i due principi della delega».
COME GLI IMPRENDITORI DOVREBBERO GESTIRE LA DELEGA
«L’autonomia non si impara 0-1, si impara giorno dopo giorno», secondo il professor Pontiggia. Quella della delega, perciò, «dovrebbe essere un’area sulla quale la gestione del personale si esercita in modo continuo; ma per esercitarsi non deve solo spiegarlo ai capi, ai manager, agli imprenditori, deve in qualche modo coinvolgere coloro che, delegati, dovranno diventare l’altra faccia della medaglia».
«La prima cosa è quindi la progressione, la seconda cosa è definire quelli che sono gli elementi essenziali di una corretta delega», chiarisce Pontiggia, «dare autonomia e discrezionalità alle persone, dare loro degli obiettivi, assegnare loro delle responsabilità. Insomma, in termini semplificati, la delega è sostanzialmente responsabilità più autonomia/autorità; la ricetta si regge su due ingredienti che devono essere però molto chiari, non ci deve essere ambiguità». «Lei è responsabile di certi risultati, è responsabile che certe attività vengano svolte, in più ha un certo livello di autonomia. Cosa vuol dire? Vuol dire che lei può decidere, ha la possibilità di gestire le risorse necessarie per raggiungere i risultati». La delega non avviene senza questi due ingredienti di base e «la cosa importante, fondamentale, perché sia efficace, è spiegare alle persone che devono essere accountable, responsabili, per quell’obiettivo e che hanno questo spazio di azione decisionale, grande o piccolo, di autonomia, di discrezionalità». «Non ci sono, come dire, magic sauces che risolvono il problema», sottolinea Pontiggia.
I FEEDBACK UTILI
Messi nel pentolone aziendale i giusti ingredienti per ottenere una delega efficace, come è possibile accertarsi che la cottura proceda nel modo più adeguato per ottenere il risultato voluto? «Tecnicamente abbiamo tutta una parte di analisi delle prestazioni, di performance appraisals, di valutazione dei profili di risultato, diciamo così, ciò che si chiama da sempre valutazione della prestazione», spiega Pontiggia, e «ci dice quanto una persona ha assunto o meno correttamente i ruoli a lui o a lei assegnati, quindi, questo è un controllo, una verifica e un feedback».
E anche aziende molto piccole possono avere un sistema di valutazione delle prestazioni, dei sistemi periodici di feedback, nel quale i capi comunicano ai propri collaboratori il raggiungimento o meno degli obiettivi. Ma anche in questo caso, secondo il professore, «ci sono due lati della questione. Il primo, quello evidente, ci deve essere un sistema di sintesi. Devo controllare, verificare, comunicare, nel senso di costruire insieme un consenso, e questa è la parte evidente; c’è poi una parte invece sommersa che bisogna guardare con attenzione».
«Quando il capo si accorge – quale che sia la dimensione dell’azienda – che i propri collaboratori a cui ha delegato delle attività, degli obiettivi, incominciano a svolgerla chiedendo sempre maggiore autonomia e il suo ruolo, la sua presenza, diventano progressivamente meno necessari, allora la delega ha funzionato», mette in evidenza Pontiggia, «e quando i collaboratori delegati incominciano ad andare da soli e il capo diventa sempre meno necessario, quest’ultimo deve/può fare un passo indietro?». In pratica, “quando la delega funziona”, sottolinea Pontiggia, «i capi si accorgono di essere meno necessari e nessuno di noi vuole, in ultima analisi, perdere la propria posizione. Non è un problema di fiducia o di sfiducia. Il problema è che non vogliamo mettere in dubbio le nostre capacità, non vogliamo necessariamente confrontarci, vogliamo in qualche modo difenderci dalle nuove generazioni che arrivano e probabilmente sono più veloci, sicuramente i più giovani per definizione. E quindi dobbiamo, in modo anche irrazionale, a volte inconsapevole, difenderci. E un modo per difenderci è ricordare che tu sei il capo e gli altri sono collaboratori». Giuliano Longo