Il dato di fatto, l’assunto di partenza, è uno: la provincia di Pavia, in tutte e tre le sue declinazioni territoriali (Lomellina, Pavese, Oltrepò Pavese), ha come tratto distintivo del tessuto economico la piccola e media impresa che, con 36.769 unità produttive, rappresenta il 99,5% del totale delle aziende presenti sul territorio.
Un tratto distintivo che la accomuna alla composizione del tessuto economico lombardo, obbligando di fatto tutti i livelli politici e amministrativi a prendere atto che non si possono pianificare piani di sviluppo e rilancio senza tener conto di questa peculiarità. «E senza che le progettualità, gli interventi a sostegno del credito, i bandi e le azioni finalizzate ad ammodernare i piani di governo del territorio siano pensati per questo tipo di imprese, di dimensioni ridotte ma dalla forte capacità progettuale e innovativa» interviene il presidente di Confartigianato Imprese Lomellina Luigi Grechi a commento del report congiunturale relativo al territorio provinciale e al settore meccano-calzaturiero lomellino.
Esaminando il dettaglio settoriale si osserva che le imprese con 0-49 addetti si concentrano principalmente in 5 settori: commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli (22,2% totale Pmi); attività professionali, scientifiche e tecniche (16,7%); costruzioni (12,7%); sanità e assistenza sociale (9,8%) e attività manifatturiere (8,5%).
Le Pmi, travolte come tutte le imprese dallo tsunami pandemico, hanno lasciato sul terreno il 26,5% del fatturato nel periodo 2020-2019. Una flessione che ha aumentato di riflesso l’incertezza tra gli imprenditori, tanto che il 53,5% delle imprese non riesce a quantificare i tempi di recupero dei livelli di fatturato pre-pandemia.
L’aspetto positivo è la resilienza dimostrata dalla maggior parte degli imprenditori intercettati dal sondaggio dal quale si evince che il 72,2% intende affrontare i prossimi mesi introducendo almeno un cambiamento. Ovvero spingendo sull’acceleratore dell’innovazione, soprattutto in chiave digitale ed ecologica (economia circolare).
Tuttavia il 54,2% delle Pmi della provincia di Pavia nutre preoccupazione per la propria attività (domanda interna debole e in trasformazione, calo del potere d’acquisto dei consumatori, alternanza continua chiusure e aperture, ecc.) tanto da temere di non riuscire a superare la prima metà dell’anno in corso. Va tenuto conto che queste Pmi, che oggi si trovano davanti un mercato che risente ancora delle limitazioni per il contenimento della pandemia, avrebbero quasi certamente ancora spazio nel mercato post pandemia.
Di qui l’importanza dei graduali interventi attuati dal Governo per favorire il ritorno alla cosiddetta “normalità”.
Rispetto al futuro, il 72,2% delle micro-piccole imprese intende affrontare i prossimi mesi introducendo almeno un cambiamento. In particolare: ampliamento del numero di committenti (54,6%), produzione di nuovi beni e offerta di nuovi servizi (45,1%), attivazione di nuovi canali di vendita (38,8%) e diversificazione della produzione (35,2%).
«Un indicatore importante della voglia di ripresa, che indubbiamente c’è, anche se è fondamentale che venga sostenuta nel modo giusto, con concretezza e nell’immediato» è il commento del presidente Grechi.
LA PAURA DELLE STARTUP
A fronte di una natalità non incoraggiante – segno che le nuove imprese restano alla finestra in attesa che il quadro economico si stabilizzi (- 671 unità tra i quattordici mesi pre-pandemia e i quattordici mesi di piena crisi Covid) – anche l’occupazione mostra segni di sofferenza. Ad oggi sono 230mila gli occupati in provincia di Pavia, 9mila in meno rispetto al 2019 (-3,7%, un dato peggiore rispetto alla media lombarda). Male la componente dipendente che perde 12mila unità, regge quella indipendente (in crescita di tremila unità).
Gli occupati si concentrano maggiormente nelle Pmi dei settori commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli (21,2% totale); attività manifatturiere (18,8%); costruzioni (11,5%); attività professionali, scientifiche e tecniche (10,4%), attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (9,8%) e sanità e assistenza sociale (6,9%).
L’EVOLUZIONE
La quota di Pmi che esprime l’intenzione di voler usufruire delle misure e delle risorse messe in campo dal Piano Transizione 4.0 si attesta al 17,2%. Tra coloro che non intendono farne uso, il 4,8% ne ha comunque già fruito in passato. Tirando le somme, le Pmi che hanno intenzione di sfruttare l’opportunità del Piano Transizione lo faranno per fare investimenti in beni materiali 4.0 e in formazione 4.0.
IL FOCUS (CRITICO) SUI GIOVANI
Sul fronte lavoro è il segmento dei giovani a pagare il prezzo più alto della crisi Covid-19. Per i ragazzi tra i 15 e i 29 anni si rileva un tasso di occupazione 2020 in riduzione di 6,9 punti rispetto a quello del 2019, un tasso di disoccupazione in aumento (+0,9%) e un tasso di inattività in salita di 7,7 punti. Quest’ultimo raggiunge il suo valore più alto, dal 2007 al 2020, in corrispondenza dell’anno pandemico.
MISMATCH TRA DOMANDA E OFFERTA
La criticità è evidente e deriva dal preoccupante fenomeno del mismatch occupazionale, al quale reagire mettendo in campo tutte le azioni necessarie per far incontrare il prima possibile, e in modo chirurgico, domanda e offerta di lavoro con l’obiettivo di non ingigantire il disagio sociale. E, al contempo, per consentire alle aziende di acquisire le professionalità necessarie al proprio sviluppo (indispensabili in periodi di cambiamento).
«Ci stiamo muovendo in questa direzione: in Lomellina sta per aprire i battenti un Its con indirizzo meccatronico, ed è un primo passo. Mi auguro che questa azione, insieme alla sempre maggiore sinergia tra mondo del lavoro e della formazione, possa mettere un freno ai fenomeni della disoccupazione giovanile e della carenza di professionalità da inserire nelle imprese» analizza Grechi, che chiede in tal senso l’attivazione a livello provinciale un tavolo di monitoraggio permanente, che sappia non solo mappare il bisogno, ma lo sappia addirittura anticipare (non si dimentichi che la formazione professionale richiede dai tre ai cinque anni di tempo per la formazione di un giovane, un periodo lunghissimo per un’azienda).
Ad oggi le entrate più difficili da inserire sono le figure tecniche, specialistiche e dotate di competenze a forte impronta digitale e green (la difficoltà di reperimento oscillano tra il 28,7 e il 41,3% per quanto riguarda il digitale, e vanno dal 37,4 al 43,1% a proposito di transizione ecologica).
EXPORT
Soffre anche il fronte internazionalizzazione: l’export dei comparti manifatturieri a maggiore concentrazione di Pmi – food, moda, legno e mobili, prodotti in metallo, gioielleria e occhialeria – nel 2020 è sceso del -22,1% rispetto 2019, con una dinamica peggiore rispetto al -15,8% dell’intero comparto manifatturiero e rispetto alla performance del made in Lombardia (-13,8%). A registrare il crollo più pesante tra i settori più affini alle Pmi sono due comparti moda: tessile (-51,6%), articoli in pelle (escluso abbigliamento) e simili (-42,9%).
Rispetto ai principali mercati di sbocco dell’export della provincia – Francia, Germania, Spagna, Austria e Svizzera – si osserva che i ricavi dalla vendita dei prodotti del territorio su questi mercati nel 2020 rispetto al 2019 è in diminuzione del -9,0% verso la Francia, del -12,6% verso la Spagna, del -15,5% verso la Germania, del -21,9% verso la Svizzera e del -39,7% verso l’Austria.
CREDITO
Gli importi finanziati alle aziende della provincia di Pavia con i decreti “Cura Italia” e “Liquidità” ammontano complessivamente a 1.157 milioni di euro, quelli erogati per operazioni fino a 30 mila euro ammontano a 174 milioni (15,1%) e quelli erogati per operazioni superiori a 30 mila euro quotano 982 milioni.
Gli importi medi dei finanziamenti del Fondo di Garanzia sono pari a 72.294 euro per il totale: 19.219 euro per operazioni fino a 30 mila euro e 141 mila euro per operazioni superiori a 30 mila euro.
RIVOLUZIONE GREEN: LA SPINTA C’E’
Nella provincia di Pavia su 7.708 imprese con 3 e più addetti, figurano 4.944 imprese (pari al 64,1% del totale) che svolgono una o più azioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività, valore in linea con la media lombarda del 64,7%. E non è difficile comprendere, in proposito, la spinta a ricercare competenze specifiche, sulle quali punta il 77,3% delle Pmi. In particolare public utilities (energia, gas, acqua e ambiente) (92,9%); costruzioni (86,6%); industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (81,8%); servizi operativi di supporto alle imprese e alle persone (80,8%); servizi di alloggio e ristorazione; servizi turistici (80,6%); commercio al dettaglio, all’ingrosso e riparazione di autoveicoli e motocicli (78,5%) e servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio (77,6%).
«Non dimentichiamo che una quota rilevante del Pnrr riconduce alla transizione ecologica: arriveranno risorse sul territorio che il territorio – e non solo le singole Pmi – dovrà essere pronto a intercettare, con azioni sistemiche, in grado di costruire filiere green» è l’opinione di Luigi Grechi, che ricorda come gli indicatori della provincia di Pavia, e i settori che ne trainano l’economia in Lomellina (è il caso del calzaturiero e del meccano-calzaturiero), mostrino da anni una sofferenza nel confronto con le altre province lombarde: «Per questa ragione è opportuno non perdere le prime carrozze del nuovo treno…». Meglio trainare, partire per primi e farsi trovare preparati all’arrivo degli stanziamenti economici.
Analogo ragionamento andrà fatto sul fronte della digitalizzazione, spinta dall’onda Covid (+ 13,2 punti, dal pre al post pandemia, della quota di Pmi che hanno realizzato o prevedono di realizzare investimenti 4.0).
Anche qui, i margini di azione sono ampi anche perché i piani di investimento adottati finora dalle imprese delineano strategie aziendali tipiche delle fasi iniziali della trasformazione digitale, in cui le organizzazioni adottano tecnologie digitali per rendere più efficienti le attività operative abituali, incrementando la produttività, ma non ancora per innovare la struttura organizzativa o per delineare e sostenere modelli di business differenti.
DISTRIBUZIONE TERRITORIALE
Dall’analisi per aree territoriali di cui si compone la provincia – Oltrepo Pavese, Lomellina e Pavese – si evince che le micro-piccole imprese rappresentano la quasi totalità del sistema produttivo (99%). Gli occupati delle Pmi rappresentano il 77,5% degli occupati nell’Oltrepò Pavese, il 74,3% degli occupati nell’area della Lomellina (dove figurano anche aziende di dimensioni più elevate) e il 73,4% in quella Pavese. Vigevano rappresenta la città con il maggior numero di imprese, preceduta solo dal capoluogo Pavia (6.016 contro 6.632).
FOCUS SETTORE CALZATURIERO E MECCANO-CALZATURIERO IN LOMELLINA
In Lomellina, al 31 dicembre 2020, si contavano in tutto 457 imprese del settore moda, vale a dire il 72% di quelle presenti nell’intera provincia. Di queste, il 69,6% opera nella fabbricazione di articoli in pelle e simili, il 20,1% è specializzata nella confezione di articoli di abbigliamento e nel 10,3% è attiva nel settore del tessile.
Il settore moda, come noto, è stato uno dei più colpiti dalla crisi Covid-19. In provincia di Pavia negli ultimi quattro anni (2017-2020) il settore ha perso in totale 85 imprese.
Ed è proprio nel settore moda che rientra la fabbricazione di calzature, che nell’area della Lomellina conta 295 imprese (98% del totale operante in questo comparto presente a pavia). Rispetto al 2017, si contano 42 imprese del calzaturiero in meno, pari ad un calo del -12,5%.
Nel settore calzaturiero si rileva un maggior numero di imprese registrate (90,5% del totale dell’area) nei comuni di Vigevano (205 imprese), Gambolò (30), Garlasco (11), Cassolnovo (11) e Mortara (10).
Nell’Area della Lomellina, nel 2020, si contano invece 70 imprese che effettuano la fabbricazione di macchine e apparecchiature per la lavorazione della pelle, del cuoio e delle calzature. Una quota pari al totale delle imprese del settore presenti in tutta la provincia di Pavia. Queste rappresentano lo 0,4% delle imprese di tutti i settori, il 3,2% delle imprese del manifatturiero e sono 13 in meno rispetto al 2017.
«Dobbiamo bloccare questo preoccupante arretramento – commenta il presidente di Confartigianato Imprese Lomellina, Luigi Grechi – e per farlo dobbiamo sostenere l’innovazione e l’internazionalizzazione, la diffusione delle competenze e la creazione di una Shoes Tech Valley, progetto dell’Intercategoriale che vede già coinvolte le forze più rilevanti della città». Un progetto di respiro, che si propone di andare oltre i confini della Lomellina e del Pavese per diventare collettore di una filiera in grado di generare anche startup innovative e di attirare il maggior numero di grandi player internazionali. «Adesso o mai più: non lasciamo scadere il tempo».