Nuovo Dpcm, affondo intollerabile: che errore chiudere chi s’è adeguato alla legge e tutela la salute

La salvaguardia della salute di tutti deve andare di pari passo con la tutela dell’economia. Solo così si evitano catastrofi sociali e lavorative che potrebbero, per anni, trascinare il Paese nel baratro. Fa discutere il nuovo Dpcm in vigore da domani, venerdì 6 novembre. In Lombardia si potrà continuare ad andare dal parrucchiere, ma non dall’estetista. Luoghi pubblici in cui i titolari, in questi mesi di sacrifici, si sono dovuti adeguare in tutti i modi, tra sanificazioni degli spazi, dispositivi di protezione individuale e altri accorgimenti. Evidentemente è stato tutto inutile. Chiusure per almeno 15 giorni, che oltre a mandare intere famiglie nell’incertezza economica favoriranno il proliferare del lavoro in nero, del sommerso.
La dura presa di posizione è di Luigi Grechi, numero uno di Confartigianato Lomellina e, da pochi giorni, anche nuovo presidente regionale della categoria Calzaturieri di Confartigianato Lombardia.
«Il Governo ha fatto molta confusione sia riguardo i tempi sia riguardo i modi nell’attuazione del Dpcm. Ha lasciato tutti in un’inutile attesa di conoscere il proprio futuro, quando in realtà già era evidente. Il risultato? Ulteriore ansia, ulteriore confusione, ulteriore nervosismo nelle attività produttive. Mi sfugge inoltre la logica della suddivisione delle Regioni. Se è vero che si doveva differenziare il territorio in zone “rosse” e “arancioni”, perché non distinguere anche da Provincia a Provincia? Mi sembra evidente che la zona di Milano non ha gli stessi dati dell’Oltrepò pavese e di Sondrio».

Infine il commercio, il tasto dolente. Secondo Grechi non è stato utilizzato un criterio logico nella scelta di chi può continuare e di chi, invece, deve temporaneamente serrare i battenti. Perché gli acconciatori sì e le estetiste no? «I protocolli – prosegue il presidente di Confartigianato Imprese Lomellina – sono identici, anzi forse nei centri estetici erano anche più stringenti. Ci chiediamo se le persone che stanno prendendo queste decisioni lo facciano a fronte di dati certi e reali, o solo sull’onda dell’emotività. Se fosse così, sarebbe gravissimo. A fronte di questo ennesimo stop chiediamo che ci siano contributi per le imprese. Contributi a fondo perduto, certi e soprattutto rapidi per chi ha dovuto chiudere. Un lockdown anche parziale penalizza anche chi rimane aperto: è inevitabile che limitare gli spostamenti limiti anche i consumi. Forse, anziché decidere in modo convulso e contraddittorio, sarebbe servita una prevenzione maggiore durante i mesi estivi che non ho visto».

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