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Dal Codice degli Appalti all’attuale Codice dei Contratti: un percorso di senso ma anche e soprattutto di contenuti che meritano di essere approfonditi. In primis, dalla pubblica amministrazione, affinché possa attingere con consapevolezza all’interno di soluzioni talvolta non ancora sfruttate a dovere.
La parola al professor Remo Dalla Longa, docente alla SDA Bocconi School of Management: «Oggi più che in passato diventa importante usare correttamente i termini. Potevamo parlare di Codice degli Appalti nel 2006, ora che l’argomento è più complesso si parla di Codice dei Contratti. Al cui interno sono presenti la partizione prima, più generale, la partizione seconda che riguarda proprio gli appalti, la terza inerente alla concessione, la quarta sul partenariato pubblico-privato. Ragioniamo quindi di un qualcosa che ha superato non solo nei termini il Codice degli Appalti». Uno strumento che contiene potenzialità forse ancora inespresse.
«Si pensi al partenariato pubblico-privato, fondamentale per la nostra nazione. Abbiamo il più grande debito pubblico, e se imparassimo a fare contratti di PPP (partenariato pubblico-privato) potremmo iscrivere il debito non nel bilancio pubblico ma dentro ad esempio a una società di progetto. Da notare che il Regno Unito negli ultimi 20 anni è riuscito a porre fuori dal bilancio pubblico 146 miliardi, l’Italia 300 milioni.
Il fatto è che non investiamo in conoscenza e formazione sul corretto rapporto tra pubblico e privato, restando incagliati in vecchie regole. È per questo che è bene superare il Codice degli Appalti anche come terminologia: in questo passaggio vi è però la sostanza». Fare un PPP vuol dire elevare la cultura della pubblica amministrazione: «È ad esempio necessario che il pubblico sappia individuare i rischi e li possa trasferire nel privato, o meglio in una società di scopo che viene creata ad hoc. Il Codice dei Contratti ha un “di più” che dovremmo guardare con attenzione, perché parliamo di un tesoretto».
DA 40MILA A 150MILA EURO DI AFFIDAMENTI DIRETTI PER MANUTENZIONI
«Nella Legge finanziaria di fine 2018 – aggiunge il professor Dalla Longa – è stato fatto un richiamo alla possibilità di fare un affidamento diretto circa le manutenzioni che vanno da 40mila a 150mila euro, in precedenza era riferito solo a somme sotto i 40mila euro. Si è di fatto spostato il perimetro. L’affidamento diretto ha un rischio, se applicato: si pensi a Mafia Capitale. Si davano affidamenti diretti divisi in lotti, per quanto riguarda la manutenzione delle strade, sempre agli stessi soggetti. Un tema importante è perciò quello della corruzione».
Si parla spesso, inoltre, della prossimità tra stazione appaltante e impresa come di un possibile valore aggiunto. Ma attenzione: «Il KmO come regola non può esistere, essendo contro il diritto comunitario, tra le cui basi vi sono par condicio, trasparenza e non discriminazione. Ci può essere certo un buonsenso, d’altronde un piccolo lavoro sarebbe difficile da assegnare a un’impresa lontana. Per questo si è ritenuto di porre un tetto al numero di dichiarazioni d’interesse, per far sì che possano delinearsi in taluni casi delle sub-aree in cui operare. Senza dubbio è possibile snellire la normativa, ma il principio del KmO, in diritto, non può esistere in quanto tale, andando contro ai diritti primari della competizione, nel senso che all’interno di uno spazio comunitario tutti i soggetti devono avere i medesimi diritti. Serve, come detto, buonsenso».
FARSI GUIDARE DA PRINCIPI MANAGERIALI
Le restrizioni territoriali, a legislazione vigente, devono sostanzialmente essere adeguatamente motivate. Tuttavia, non si può trascurare il fatto che molti affidamenti per l’importo, l’oggetto o le condizioni di esecuzione finiscono inevitabilmente per essere destinati a imprese locali, indipendentemente da una disposizione specifica contenuta nella lex specialis di gara. «Il punto centrale riguarda proprio la motivazione, la pubblica amministrazione si deve muovere dentro procedure oggettive. E in effetti si riscontra qualche riserva ad attivarsi, complice il timore che la Corte dei Conti o altri soggetti possano contestare la motivazione addotta. Può essere per esempio plausibile la “somma urgenza”, immaginiamo un allagamento, quindi un fatto appunto oggettivo e contestualizzabile. Non esistono soluzioni miracolistiche per superare questa sorta di freno a mano tirato. Credo che la base non sia tanto la normativa, ma la necessità di guidare la pubblica amministrazione verso il management con strumenti più efficaci. Se mi perdo nell’interpretazione burocratica della normativa è ovvio che poi mi paralizzo».
Una soluzione può essere un’attenta programmazione: «Si potrebbe far svolgere a rotazione un lavoro a più artigiani o imprese, monitorando ribasso, tempistica, eventuali problematiche sorte e il gradimento dell’utenza. In tal modo si andrebbe a creare nel corso degli anni uno strumento di valutazione oggettiva, dal quale attingere la motivazione dell’affidamento diretto. Una dimensione di affidamento a realtà vicine resta possibile tra privati perché esiste il rischio d’impresa» Ma se a operare è l’attore pubblico – sottolinea ancora una volta il professor Dalla Longa – «servono elementi oggettivi».
SI ABBASSA LA SOGLIA PER L’OBBLIGATRIETA’ DELLA GARA
Infine, uno sguardo al decreto legge n. 32/2019, noto come “Sblocca cantieri” e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 92 dello scorso 18 aprile. Tra le modifiche introdotte, l’innalzamento da 150mila a 200mila euro della soglia per l’affidamento con procedura negoziata con almeno tre operatori. «Il decreto – evidenzia il professore – non va a toccare la parte concettuale del Codice, né il PPP. I Comuni, in estrema sintesi, entro questa soglia possono chiamare con un maggior grado di discrezionalità l’operatore economico, avendo a disposizione almeno tre preventivi e applicando la rotazione, rimane questo però un passaggio delicato che può sfociare nell’illegittimità se troppo discrezionale; permane quindi una criticità intrinseca. Sopra i 200mila euro e fino a oltre 5 milioni parliamo invece sempre di gara, con procedura aperta, bando e offerte. E si va a scartare l’eventuale offerta anomala, quella caratterizzata da un ribasso troppo evidente. Resta la prima fascia, tra zero e 40mila euro, per la quale rimane valida la chiamata diretta con motivazione». Si è insomma ridotto l’ammontare sopra cui è obbligatorio procedere con la gara: prima si parlava di un milione, ora di 200mila euro.
«La gara è stata snellita, ma fino a un certo punto. Quello che potrà avvenire è che ci siano centinaia di offerte, come già accaduto nel secolo scorso e con una non totale garanzia che il maggior ribasso in offerta poi sia mantenuto nella fase realizzativa (variante). La facile semplificazione delle procedure è più difficile mantenerla sul versante operativo. Reputo che tutto ciò possa comportare un sovraccarico di attività per la pubblica amministrazione. Senza dubbio, sotto i 200mila euro, i Comuni che intendono avere un certo rapporto con le imprese locali hanno maggior mano libera, pur tenendo fermi i principi comunitari della non discriminazione». Vi sono infine alcune variazioni in materia di subappalto, «tuttavia obbligatorie – chiude il professor Dalla Longa – dopo richiamo della Comunità Europea che aveva giudicato non coerente la normativa nazionale». (1. continua)